giovedì 25 giugno 2020

Hypnerotomachia, la fontana del putto mingente e del riso : allegoria del putto e sua simbologia


 

Testo originale

Ad apposito interstizio dilla cospicua fontana dimora dilla dormiete Nympha tirò il bagno era un’altra di statua di optiamo metallo artificiosamente facta cu nitore aureo speculabile. Le qule erao ifixe sopra un marmoro i quadratura excavato e frontespicio reducto, co due semicolunule cioè emycicle. Una p. Lato cu tra etto Zopherulo e coro nicetta nel solido della unica Petra iscalpte. Questo coposito pclaro offerì aste qle di tuta lopa el residuo tutto, cu esimia arte e iveto merificamete absoluta.Nel cavo intersechino, overo  nel intercavato dlla dicata petra due pfecte Nymphe astanao, poco chel naturale meo grade, fino sopra le cruse devestite, ove cedeva la divisioe de la supidute iterula, alqto volante El moto del suo officio. Et gli brachi similmente nuda ti, dal cubito, ad le spalle excepto. Et sopra al braccio che El puerulo susteniva era lo habito sublevato reiecto. Li pediculi del qle infantulo .Uno di la mano dla una, e laltro delaltra mao de la Nympha calcavano de tuti tre li multi ridibondi  e cu l'altra mano le Nymphe dimovando lelacinule del puellulo fina al suo cingira overo umbelico discopriva. Et el fanciullo, cu tutte due le mano el membrulo suo teniva. Il qle dietro alle calde aq mingeva (tepidatile) aq freschissima. In qsto delizioso Et excellentissimo loco io era p. tale conditione tuto soluto i gaudio e coteto ma interrotto El pcipuo piacere degli sentimenti,solamete poche tra esse cotetibile e tra tota albescentia e rore concreto in pruina, quasi egyptino e melanchocro me vedeva. Una de qste dunq noiati Anchoe, affabilmete disse surridedo. Poliphile nro togli qllo vaso de crystallo e portami qui poco di qlla aq recete. Secia morula affectado e senza altro pesiculare, si no che gratificando me è no solu pmptamete obsequoso exhibendo me, ma et lixabodo p. compiacerli psto uno pede posui sopra uno grado p. far me allaq cadete che il menfore levoe il priapulo e nella calda facia trasse mi laq frigidissima, che qsi i qllo istati me cogenulai idrieto. Per la qle cosa tato riso acuto e foeminile sotto la obtusa cupola risonava che ancora io icominciai (in me ritornato) fortemete di ridere che me sentiva morire. Daposcia io conobbi la deceptione dil artificio peritissimamente excogitato, che ponendo sopra El grado imo istabile, pondo alcuno, in fin el se moveva e in su traeva lo istromento puerile. Onde cu subtile examine investigato la machina e curioso artificio mi due molto gratissimo. Et pero nel Zophorulo era inscripto elegante in Atthice formulae questo titulo ΓΕΛΟΙΑΣΤΟΣ.

 

Parafrasi

Nel lato opposto della fontana esternamente alla Ninfa dormiente, nella vasca era un’altra fontana in  ottimo  metallo somigliante all’oro. Su di essa si ergevano una cornice in marmo e un piccolo frontone con due semicolonne a emiciclo.Queste erano poste una cornice in marmo con sopra un piccolo frontone con due semicolonne ovvero emiciclo. Una per lato erano con la trabeazione  scolpite nella pietra come un unico solido. Questa composizione si mostrava chiara e compatta condotta con finissima arte e di assoluta meraviglia.Nel cavo fra una parte e l’altra della pietra, ovvero nell’incavo della pietra, due Ninfe perfette in piedi, con sembianze naturali. Denudato dal pube alle spalle che rimanevano coperte. E il putto sosteneva l’abito sollevato. I piedi dell’infante erano sostenuti uno da una ninfa e l’altro dall’altra, tutti e tre ridibondi e con l’altra mano le Ninfe muovevano le vesti del putto fino alla vita e a scoprirne l’ombelico. Ed il fanciullo con entrambe le mani sosteneva il suo membro e dal quale mingeva fra le calde acque  anche acque freschissime. In questo delizioso è bellissimo luogo io mi sentivo appagato e contento ma venni improvvisamente interrotto nel piacere dei sentimenti da un albeggiare concreto che mi gettò in un sentimento quasi “ aegyptino “ e malinconico. Una delle ninfe mi si rivolse affabilmente sorridendo:” Polifilo sposta quel vaso di cristallo e portami qui quell’acqua da poco sgorgata”.  Senza aspettare perché ciò mi gratificava, obbedii prontamente all’ordine. Posi allora un piede sopra un guado ma scivolando mi bagnai la faccia con l’acqua freddissima è quasi mi congelai il didietro. Per questo sentii il riso acuto femminile che sotto la cupola ottusa risuonava e anch’ io tornato in me cominciai a ridere da sentirmi morire. Allora capii che era stato escogita un gioco artificiale per rendere instabile quell’appoggio in modo che se si premeva quella pietra col piede immediatamente si sarebbe tratto a se anche il putto mingente bagnandosi. Mi fece molto piacere esaminare la macchina che provocava questo curioso artificio. KPerò nel Zophorulo era posta l’iscrizione in elegante stile attico con questo titolo ΓΛΟΙΑΣΤΟΣ.

 

Analisi della xilografia

La storia del Poliphilo ci porta a considerare la simbologia delle immagini come una componente attiva  dell’opera completa del Polifilo, un percorso a tappe collegate fra racconto, personaggi e simboli evocativi.[1] Alla pagina dell’illustrazione raffigurante la Fontana della Ninfa,segue l’illustrazione di una fontana che fa parte della stessa unità monumentale del giardino di Eleuterillyde, raffigurante un tempietto , dotato di frontone,  dal quale un putto con la camicia alzata, viene ritratto nell’atto della minzione. Il tempio è quello del riso, ed il putto è sostenuto da due figure  femminili . Nella tradizione delle corti, la simbologia pagana ha un collegamento con  quella cristiana, rimanendo tuttavia  del tutto autonoma nella sua valenza, con alcune caratteristiche prevalenti, ad esempio la simbologia del giardino o “hortus conclusus”.[2] Una sorta di interesse per il mondo ellenistico si intravede nella gestazione del Sogno, un richiamo preciso all’aspetto multiculturale di quel periodo quando le tre grandi religioni, cristiana, ebraica e musulmana, convivevano con scambi sincretici  continui e contaminazioni, testimoniati dalla morfologia varia  e polivalente produzione artistica dell’epoca. Questo aspetto è sottolineato come già evidenziato da Mautrizio Calvesi, nella frequente presenza nella narrazione nelle illustrazioni, delle lingue appartenenti alle principali civiltà : greca, latina,  ebraica e islamica. Le quattro versioni sono presenti sulle tre porte nella xilografia corrispondente alla ricerca di Polia.[3]

Sotto il frontone del tempio del riso si legge la scritta ΓΕΛΟΙΑΣΤΟΣ, ovvero “buffo”, “che suscita ilarità “ ad indicare il tempio del riso[4] Il legame con la figura di Gelasto appartenente alla letteratura satirica ma anche ad alcune opere di Leon Battista Alberti [5] di carattere morale, fanno comunque di questo personaggio un protagonista delle opere di carattere pastorale, dunque appartenente ai cicli stagionali della terra. Il motivo della minzione faceva parte di una simbologia  alchemico- ermetica, cui faceva  riferimento  l’ Accademia Pomponiana. Il Riso viene abbinato alla Fortuna nella formula  legata al mito naturalistico appartenente a molte religioni orientali e occidentali come elemento simbolico degli “umori” cangianti della Terra.[6]  Si riferisce inoltre alla tradizione alchemica della minzione come fase della purificazione, frequente anche nei sarcofagi con decorazioni ispirate ai riti dionisiaci[7] anch’essi legati alle stagioni e ai miti legati alla Terra.  Il fanciullo mingente ha una lunga tradizione iconografica rappresentando l’acqua consacrata con la quale si viene battezzati, ma anche una lunga tradizione alchemica dove l’urina è  assimilata all’ acqua mercuriale.

 Gli alchimisti ritenevano che l’urina dei fanciulli avesse notevoli proprietà, essendo definito “ un liquido ardente”, appartenente alla consistenza del fuoco. Da qui vediamo come sia consueta la scelta della figura del putto mingente nell’ambito dei deschi da parto, e nella pittura e scultura decorativa, oppure nei temi da giardino come fontana.[8] Dalla tradizione legata alle multiformi allegorie della Fortuna, sappiamo che ella ha due facce, una “ridibonda “ e una “ lacrymosa”, espressa  nella precedente illustrazione del Polifilo raffigurante un  cavallo sul quale sono in equilibrio instabile, alcuni putti. In questo caso le due figure femminili che sostengono il putto mingente sono la rappresentazione della Fortuna ridibonda ma che essendo cangiante potrebbe divenire lacrimosa. La figura del putto mingente ha una corrispondenza di trasmigrazione dall’antichità, passando dalla cultura cortigiana a quella umanistica. Polifilo si esprime in questi termini : “... Dique ‘, negli altri

 cogitamenti d’amore solo relitto, la longa et tediosa nocte insomne consumando, per la mia sterile fortuna Et adversatrice Et iniqua stella tutto sconsolato Et sospiroso, per importuno Et non prospero ore illacrimato, di punto in punito ricognitiva che cosa è inaequale amore, Et come aptamente amare si pole chi non ama Et cum quale protectione ..... et assiduamente irretita di soli citi, instabili Et no i pensieri”.Nasce probabilmente in epoca ellenistica e da allora mantiene una presenza costante nell’iconografia dei secoli successivi. Polifilo nel racconto rivela di essere di fronte ad una vera e propria “macchina da giardino”,  che viene attivata da una pietra sulla quale lui pone il piede, provocando un gioco d’acqua che lo bagna completamente. La tradizione dei giochi d’acqua in architettura si diffonderà notevolmente nel periodo successivo a quello dell’edizione aldina, ma si può ricostruire la fonte letteraria e documentaria di tali fontane, numerose nelle ville romane suburbane, rivisitando Vitruvio soprattutto nella parte dedicata all’idraulica[9]. Verso la fine del Cinquecento Jacopo Zucchi dipinge a villa Medici l’affresco raffigurante “ l’Età  dell’ Oro” dove una numerosa prole di putti, da vita ad un’ orgia dionisiaca  nella quale due di essi sono intenti nella minzione in un ruscello. La connessione creata dalla compresenza delle orge dionisiache con il mutamento e la mescolanza degli elementi forse non appare dunque casuale ma sottolinea la simbologia alchemica[10].

La ripresa di modelli letterari greci è rintracciabile nella definizione della “Έργά καύ Έμέραί “ di Esiodo e della sua distinzione all’interno delle cinque età dell’uomo.[11] In un altro  celebre dipinto di 

Guido Reni  “Bacco che beve” del 1623, egli è  dedito alla minzione, un atteggiamento  che Malvasia rammenta nella “ Felsina pittrice” come un aneddoto dicendone : “Baccarino ignudo che rende ciò che beve”.[12] Nell’ambito alchemico l’urina è  un liquido prezioso. Nella “ Turba philosophorum” , un testo alchemico che si fa risalire al tardo Medioevo, troviamo un’illustrazione dove  un putto minge producendo tre zampilli, che terminano in tre ampolle diverse,  secondo la tradizione alchemica l’urina, sublimerà tre volte  la materia saturnina mediante l’umidificazione, ovvero cambiando “umore”. [13]Questa umidificazione viene anche definita “acqua mercuriale” e dovrebbe portare a far svanire il nero e dunque a superare la cosiddetta fase della “ nigredo”[14]. La tradizione simbolica è  migrata attraverso l’acqusizione di alcuni simboli tradizionali della cultura sapienzale orientale,  nella simbologia europeo- cristiana, passando attraverso la cultura ellenistica che ci ha trasmesso vari 

esemplari del Putto mictans[15]. Lo ritroviamo  sia in Pierino da Vinci, che nei Della Robbia, che lo utilizzarono per le loro opere, in un ripetersi di proposte simbolico-culturali che prevedevano un programma preciso di interpretazione dell’antico e di rievocazione della perduta Eta’ dell’ oro. E’  un modello iconografico che viene lungamente sfruttato in scultura e che fa parte di quell’alfabeto collettivo di simboli che per lungo tempo ha fatto parte del lessico culturale europeo, pur avendo le sue radici nella tradizione orientale*. In questo caso si veda il putto mingente, probabile  fontana di Donatello,  ora al Museo Bardini di Firenze, che rappresenta ancora quanto fosse ampia la sua diffusione.  Il putto del Baccanale di Tiziano  Vecellio al Prado, ripropone la figura del putto mentre si alza la veste e minge su una Venere distesa sulla destra, con una postura del tutto simile ( veste alzata) a quella dell’Hypnerotomachia, ma che rivela un significato più composito nella genealogia legato ai simboli dell’Eta’ dell’oro, legandosi soprattutto al tema dell’ilarità  suggerita dal Tempietto. Nell’arco temporale successivo ritroviamo il Putto nelle incisioni di Guillain Simon del 1676  dove compare un putto urinante tratto da un disegno di Annibale Carracci e che fa parte della serie dei mestieri ambulanti eseguite a Bologna, dei quali il primo è  del 1664[16] .

 In queste viene riprodotto tale elemento giocoso, un esercizio di ilarità, all’interno di un programma preciso volto ad altro, come spesso avveniva nelle serie di stampe dedicate serie di immagini folkloristiche o ad illustrare un  tema unico[17].  Malvasia ci informa inoltre che tali disegni furono poi sfruttati dallo stesso Carracci per le esercitazioni degli allievi della sua bottega. Nella villa Suardi a Trescore, nel Bergamasco rivediamo questo elemento nell’ambito degli affreschi di Lorenzo Lotto (1480-1557) che vi soggiornò tra il 1512 ed il 1534.[18]

In quest’opera appare inserito all’interno di un ciclo raffigurante la Vita di Cristo,  la figura del putto mingente. Sappiamo peraltro che Lotto non era estraneo all’uso di simboli appartenenti alla cultura ermetica, che sappiamo faceva parte del suo ambiente culturale,  e spesso ne utilizzava elementi scelti nelle sue opere. È nel contesto di Trescore che possiamo ritrovare il significato del putto e delle due figure femminili considerato che  tutto  l’ affresco è legato al tema femminile,  ad avvalorare la sua dipendenza dal mondo cortese contrassegnato dalla presenza di valori femminei, spesso accostato ad elementi giocosi[19]. Infatti in questo ciclo pittorico viene narrata la vita di  Santa Brigida,  protettrice 

del mondo agricolo, che nel Polifilo viene sintetizzato nel richiamo a Pomona.[20]

In questo senso,  la natura salvifica dell’ urina rimane del tutto inserita in un contesto cristiano come 

simbolo di purificazione battesimale di tipo cristiano e nell’accezione di purificazione e promessa di riscatto.[21] In un‘ altro caso Lotto ripete lo stesso motivo del  putto nella ” Venere e Cupido” del Metropolitan Museum di New York, dove tale simbolo si accompagna ad altri numerosi simboli alchemici[22]. Si deve dunque concludere nella consapevolezza che la natura del simbolo del putto mingente e del contesto nato  in funzione allegorico sapienzale, sia approdato infine in un contesto giocoso e ilare nell’ambito della cultura del giardino, che non si limita comunque  allo spazio architettonico, ma porta con se’ il significato sapienziale del percorso conoscitivo acquisito con lo studio delle fonti; nelle Metamorfosi di Ovidio Nasone viene rappresentato l’ideale del divenire e della purificazione alla stregua di quello che avviene nella trasformazione alchemica, che trova nella fontana il suo esempio migliore,  metafora dello scorrere e della trasformazione purificante catartica dell’acqua.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Vittorio Natale, Spiritelli, amorini, genietti e cherubini : allegorie e decorazioni di putti dal Barocco al Neoclassico, 2016

 

 



[1] In questi anni e ancora molto presente la cultura delle corti del Gotico Internazionale che aveva una casistica di simboli e di percorsi iconografici che poi si tramuteranno nel Rinascimento; a questo proposito vedi, Cozzi, in, AFAT,31.2012(2013),11-30,I-II, e, Sberlati, in, Signore cortese e umanissimo, 1994; pp.75-96

[2]  Amendolagine, in, Il valore della classicità nella cultura del giardino e del paesaggio, 2010; pp. 75-81

[3] Calvesi, 1980;pp. 176,177

[4] Gelaiostos = buffo, ilare

[5] Alberti, 1986; pp. 156-165

[6] cfr. Reference  to Alchemy in Buddhist Scriptures, in, Bullettino of the school of Oriental Studies, 6, 1930

[7] Friedrich, 2006; p. 203

[8]  Cooning, 2013; pp. 81-110

[9]Vitruvius Pollio, 1993,pp.

[10] Simons, 2009; pag.334

[11] Esiodo, 1959; pp.28-30

[12] Malvasia, 1971; pp.52-55

[13] vediAuriferae artis, qual Chemiam vocianti, antiquissimi autorespiratori, sive Turba philosophorum, 1572; pp.34-75

[14]cfr.  Geber, 1531; pp. 120-140

[15] cfr, Spiritelli tra sacro e profano, in, La primavera del Rinascimento. La scultura e le arti a Firenze 1400-1460, catalogo della mostra, Firenze , Palazzo Strozzi, 2013; IV, pag.341-357

[16] vedi da:  Le arti a Bologna disegnate da Annibale Carracci ed intagliate da Simone Guilini con accertate notizie ...,in Roma, 1776

[17]  Sapori, 2011; pp.227-253

[18]  Malvasia, 1971; pp. 44-45

[19] Esposito; 2013,pp.24-35

[20] Baldini, Roma, 2008; pp. 106-112

[21]  Battaglia, 1987; pp. 56-73

[22] vedi Lotto : gli affreschi di Trescore, Milano, 1997 e Lorenzo Lotto : the discovered Master of the Renaissance, catalogo della mostra alla Nat. Gall. Of Art di Washington, 1997; pp. 35-74

lunedì 10 giugno 2019

Hayez, De Min e Canova fra Neoclassicismo e innovazione. 10/06/2019

Francesco Hayez è la figura dominante nella pittura italiana del primo Ottocento, ben al di là di quella collocazione lombarda che pur nato a Venezia venne ad assumere dopo il trasferimento a Milano nel 1820. Nato nel 1791 non aveva potuto coltivare i canoni del Neoclassicismo, aveva tuttavia compreso che il Neoclassicismo aveva fatto il suo tempo cessando di essere un movimento innovatore. Nonostante Canova fosse ancora attivo pienamente a Roma, egli si dovette confrontare sia con Hayez che con il bellunese Giovanni de Min (Belluno 1786-Tarzo 1859). Il Canova, contrariamente a quello che si potrebbe credere puntò molto su De Min, intuendone la fedeltà alla causa. Infatti egli sarebbe stato sempre coerente nel praticare un'arte stilizzata, arcaica, neoprimitiva, secondo i precetti migliori del Neoclassicismo, i soli che permettono  di scorgerei esso il primo atto delle avanguardie contemporanee. Ma tanta   austerità attrattiva e retrospettiva sembrava ormai intollerabile, agli occhi delle nuove generazioni, in cerca di nuove tecnologie per l'ottica,  della luce, di costume e d'ambiente. Stava battendo alle porte la concorrenza massiccia della fotografia e i pittori dovevano adeguarsi, e tentare di falciare l'erba sotto i piedi di quella poderosa rivale; salvo capire, ma solo mezzo secolo dopo, col riproporsi delle avanguardie, che quella concorrenza era imbattibile sul suo terreno e che dunque conveniva tornare a coltivare le vie dell'astrazione: come aveva tentato di fare De Min. Hayez invece riporta abilmente la nave della pittura entro le vie maestre della grande tradizione naturalistica, pronta anche a giocare i valori dell'atmosferico e ad anticipare i realismi e gli impressionisti del secondo Ottocento. Scorrendo le opere di Hayez assistiamo ad uno scongelamento progressivo: prima l'abbandono del tema greco-romano, poi affronta il Ema medioevale, per poi abbracciare le immagini di Pietro Rossi e Carmagnola condotti al patibolo, preannunciando i moti risorgimentali. In altre fasi rimembra i Vespri siciliani oppure gli attualissimi greci perseguitati dai turchi.come nell'opera "I profughi di Parga". Ma il Medioevo o la storia in genere sono appena un pretesto, un cavallo di Troia per introdurre un'esigenza di realismo ambientale e di sentimentalismo psicologico. In particolare Hayez raggiunge il meglio quando con un pretesto biblico o no può affrontare il nudo femminile.
 Si tratti di Betsabea al bagno oppure di una cantante come Carlotta Chabert persuasa a posare senza veli, o appena col residuo velo iconografico di apparire quale "Venere che scherza con le colombe".  I valori del Realismo sono là presenti, pronti a dismettere il valore del quadro storico ed epico, per permettere il passaggio della cronaca e del racconto documentato senza l'alibi del romanticismo. Hayez non riuscirà mai, a differenza  dei ben più giovani Morelli, Faruffini, Lega e Fattori, ad abbandonare i veli, i filtri storico- letterarie al contrario andranno rafforzando la loro presenza come involucri di plastica trasparente, avvolgendo le immagini di romantiche visioni.Il perfezionismo descrittivo, la pseudoverità di stoffe e di epidermidi, che erano stati la sua gloria iniziale, si muteranno. negli anni '50 in un abbraccio soffocante, quasi mortale.

Isabella Boari








lunedì 20 maggio 2019

Chi si ricorda di Richard Avedon?

Grande fama di fotografo di moda, Avedon vede nell'arco della sua vita ,la negazione della sua identità di artista. Nato a New York il 15 maggio del 1923, una carriera di fotografo iniziata nella Marina mercantile per ritrarre cadaveri e foto d'identità dei compagni di camerata. E' solo nel 1944 che si unisce al gruppo di fotografi della casa di moda  Harper's Bazaar e si specializza nella fotografia di moda. Ma la sua ricerca va oltre ,raggiunge il ritratto, esegue indimenticabili ritratti di star come Marilyn Monroe, Andy Wahrol, ma si occupò anche di cronaca con le sue celebri fotografie dal Vietnam. Una produzione che poteva essere semplice ed elegante quanto scatenare sensazioni di angoscioso stupore.  Le sue forme perfette da maestro del bianco e nero ci sorprendono e ci trasportano in una zona nascosta delle emozioni, della bellezza e allo stesso tempo del sospeso. Celebri i suoi corpi di donna, che furono presentati anche al Victoria and Albert Museum nel lontano1994 in una celebre mostra. Di questo artista si può dire di tutto  ma non che non abbia sperimentato e scoperto immagini nascoste della camera oscura. Anche la serie degli autoritratti ci rivela una personalità particolarmente burlesca e sapiente, con lo sguardo alle paure e alla realtà della vita.


 L'artista dunque nato dalla moda si impossessa delle sue modelle  per farne altro.   Ma da testimonianze certe il suo studio dell'Upper East Side di NY  ha custodito tante immagini"scomode" impressionanti che non ha voluto mostrare.Non mostrava quasi mai tutte  le sue foto, per paura che qualche museo le volesse acquistare proponendo cifre astronomiche. Votato a non essere considearato nel Gotha degli artisti fotografi, perchè autore delle star e del bel mondo, tuttavia si è mantenuto un libero pensatore e proprio per questo la sua opera acquista valore storico, di un'epoca liberale dove le paure venivano chiamate con il proprio nome. e' uno dei pochi fotogiornalisti che può essere accostato a personaggi del calibro di Diane Arbus e Cartier-Bresson per essere stato in Vietnam a fotografare le vittime del Napalm e a Berlino mentre il muro crollava e i naziskin invadevano la città.Ma fu anche in Italia a palermo documentando nel 1947 la città a pochi anni dalla fine della guerra. Egli della propria produzione parla poco, rare le interviste sappiamo solo che ha dichiarato durante un colloquio con un cronista "Io uso l'obbiettivo sempre allo stesso modo sia davanti ad una modella che a un pazzo: come scudo alle mie paure". E ancora nella sua opera resistiamo alla consapevolezza di sentirci una confusione dell'anima che ci invade, come se ogni immagine penetri nel nostro subconscio invadendo e sollevando emozioni nascoste in reconditi meandri.












La sua vita personale è stata particolare. Una sorella impazzita a vent'anni e mai più uscita da un istituto psichiatrico, e fotografata da lui di continuo fino alla sua maggiore età;  ritenuta la bellezza assoluta e ricordata anche nella sua produzione di modelle, dove Avedon dice si sia ispirato sempre "alla bellezza assoluta ed al fascino di Louise...".Questo evento familiare è il motivo del suo esorcizzare l'angoscia della morte con una serie di immagini agghiaccianti come quella del padre consumato dal cancro, oppure le tante fotografie dove lui esalta le umane imperfezioni dei suoi modelli spesso disperati colti nel dolore enell'angoscia della malattia e della povertà quasi a compensare il glamour del suo  lavoro con le case di modaAnche le star subirono ilm fascino della sua dissacrazione del corpo,, Coco Chanel si fece ritrarre da lui con il collo pieno di rughe. Per rendere le sue figure più tragiche toglie al modello qualsiasi sfondo, che diventa un foglio bianco dove appaiono solo imperfezione e dolore. Usa luci alogene che "sparano "letteralmente il dramma in primo piano, egli crede solo nell'assolutezza dell'apparenza che sia una modella oppure un corpo deturpato. Il destino umano lo interessa come un attore cerca la verità del suo personaggio, tragica o soave che sia.

Isabella Boari (20/05/2019)

sabato 11 maggio 2019

Fotografi tedeschi e italiani degli anni '90: la galleria Raab a Berlino (Isabella Boari 11/05/2019)

Nella storia della fotografia in Germania spicca un tema di fondo che ripercorre lidi diversi. Nella fotografia degli anni '90 viene formandosi un interessante coppia di fotografi che lavora principalmente con la polaroid 8x8 cm costituito da Anna e Bernhard Blume . In una mostra allestita alla Galleria Raab di Berlino essi venivano messi a confronto con ritratti di grandissimo formato 258 x 148 cm che sono opere del fotografo amburghese Bernhard Prinz.

In quell'occasione vennero esposte anche alcune riprese in bianco e nero raffiguranti architetture in pieno contrasto con delle scatole luminose di Andreas Horlitz. E' in quel periodo che la fotografia in Germania diventa un Melting Pot dove confluiscono tendenze di vario genere in confronti e scontri che sono stati i prodromi delle tendenze dell'immaginario attuale.




Questi artisti perseguono la ricerca artistica fondendo le tecniche .Alcune opere sono fotografico grafiche, e rispecchiano la ricerca assidua dell'artista al di sopra delle tecniche , a favore della ricerca dell'immagine. Si passava dalla scultura alla fotografia con dei passaggi di ricerca che non sono avulsi da obbiettivi comuni rispetto alla ricerca sistematica del divenire dell'arte. E' in questa mostra che troviamo dei temi attuali anche oggi, nel tentativo di seguire non solo percorsi multiculturali ma anche multilaterali. E' il caso di Astrid  Klein che situa le sue fotoinstallazioni sopra alle sculture a specchio di Rudolf Bonvie.

Entrambi collaborarono in seguito al progetto "Fremd" (straniero) che durò circa un anno, e dove si affrontavano i temi della diversità e dei contrasti. In quegli anni le migliori espressioni artistiche avevano avuto molto spazio, e la sperimentazione delle avanguardie si era diffusa, anche in altri paesi europei, l'artista che maggiormente racchiude una sintesi dei movimenti del '900 è stato allora Rainer Fetting, che nelle sue opere pittoriche e nelle sue fotografie esprimeva il clima di revisione delle maggiori fasi dell'espressionismo declinandolo con un linguaggio del XXI secolo. Le sue opere ebbero un grande impatto girarono nelle gallerie di tutto il mondo.Quella mostra berlinese ebbe il. merito di far conoscere i maggiori fotografi tedeschi al grande pubblico in un momento nel quale la fotografia aveva avuto .una battuta d'arresto e non era molto seguita dal grande pubblico. Tuttavia molti degli artisti tedeschi, pittori e scultori si cimentavano anche nella fotografia, una opportunità di seguire le loro opere da più punti rivista.  Luciano Castelli ebbe infatti in quella mostra una grande eco e si deve alla sua opera eseguita con Elvira Bach che fu un esponente dei "nuovi selvaggi", la nascita di una sorta di "neoespressionismo" pittorico.


A questa mostra partecipò tra gli altri il fotografo artista Gio Di Sera che si cimentò nelle sue fotografie trattate dopo lo sviluppo con delle "graffiature " sulla superficie, la tecnica "scratch";esse erano accostate alle alle foto iperrealistiche di Caroline Dlugos e delle sue surreali rappresentazioni oniriche. Alla mostra parteciparono con loro lavori sia il celebre regista Wim Wenders (Il cielo sopra Berlino), che Karl Lagerfeld che si presentò con la foto di Claudia Shiffer. Il grande stilista morto di recente ha comunque dato un grande contributo alla fotografia considerando il lato kitsch dell'immagine espositiva, con una fantastica Schiffer nei panni di Greta sedotta dal turco Medi.

per chi volesse approfondire o seguire: http://www.raab-galerie.de






















giovedì 8 febbraio 2018

Il riflesso: sguardi sui ritratti d’autore e percezione del corpo

                

Abstract
The reflexs of Bodies is the focus psycological determination of ourselves. In case of the research in the first scientist on person ability of trasformation and simulation of the Photography, the specular entertainment become the first time characterizice of Bodies. At the first progressive powering of Middle Class, the processing of representation in portrait, change the symbols and the movements of Bodies,  processing the awareness of Self perception. In essays of scientist like Kohut and before Jung the script shows the evolution of photography on psycho social sphere.


La percezione del mondo include la propria raffigurazione sia onirica che materiale ed è fortemente presente come termine di paragone sulla realtà nelle prime manifestazioni della camera oscura. E’ notorio che nelle generazioni precedenti la comparsa della fotografia, la percezione della propria persona, soffriva lacune dovute all’ interpretazione dell’esecutore/pittore o del mezzo cui si attribuiva la responsabilità estetica, vedi le incisioni. Oppure il senso del “Sè” si fermava alla visione strumentale di uno specchio che rifletteva per un’istante quell’immagine. La cattura di tale immagine con la procedura fotografica, la possibilità di non esaurire quella porzione di sé in uno sguardo fugace, ha provocato una crisi sociale e psicologica collettiva. La percezione del “Sè” nel mondo ha un radicamento nelle teorie freudiane delle pulsioni interiori fino a Heinz Kohut (1913-1981) che definisce i termini della crescita personale e la sua definizione rispetto alla necessità dell’individuo di interagire con l’ambiente attraverso gli oggetti che lo circondano; questo dà vita all’ ”Oggetto-Sé”, che definisce la comprensione e i parametri dell’individuo e di ciò che lo circonda[1] . La fotografia interagisce in questo processo come un mediatore e un catalizzatore di consuetudini legate alla definizione della propria persona/personalità. Nei gruppi umani vediamo lo stesso processo: il meccanismo emozionale dunque è paragonabile alla gestione del “Sé” come presenza nel mondo. Esso agisce come elemento di “Transfert” speculare e idealizzante consentendo una seconda possibilità di sviluppo. La propria immagine scolpita in un supporto fermo, cristallizza una parte di noi, quella che a nostro giudizio è quella che maggiormente ci rappresenta quella di cui vorremmo fosse fermato il ricordo. Nel 1851 il neurologo Duchenne commissiona al fratello di Nadar, una serie di fotografie dei pazienti del manicomio parigino, che poi inserirà nel saggio Mechanisme de la phisionomie humaine, del 1862[2]. La fotografia dunque documenta ed accerta in sede legale uno stato di fatto. Non viene percepita la possibilità di interpretazione dell’immagine da parte dell’autore, ma, essendo un mezzo meccanico, viene considerato un mezzo privo della facoltà di interpretazione. Nelle fotografie familiari della fine del XIX secolo il fotografo è già conscio della propria facoltà interpretativa e crea il suo tableau vivant e il suo studio. Ma le implicazioni pratiche della sua azione sono del tutto accessorie alla sua interpretazione/azione. Nella regia del passaggio dall’immagine fotografata a quella sul supporto cartaceo, la propria coscienza subisce la consapevolezza dell’evoluzione. L’influenza che ebbe la nuova concezione della propria immagine sulle arti fu rivoluzionaria. Era giunto il momento di rappresentare il fattore umano oltre la “facciata”, il segno tangibile dell’essenza della propria persona, aveva superato la barriera della fisicità.
                    
                                                Alice Austen, The Darned club, 1891
In quegli anni vengono prodotti alcuni studi riguardanti l’arte; nel 1862 Disdéri scrive L’art de la photographie, e Mayer e Pierson scrivono La photographie considereè comme art et comme industrie, a sottolineare la possibilità che la fotografia poteva e allo stesso tempo non poteva, avere un valore artistico. Secondo Baudelaire la fotografia non trascende qualche forma di narcisismo, il culto del corpo, come il mito della modernità e del progresso, ma al contrario si apre alla visione dell’ ”altro”. Fanno allora la loro parte quelle raccolte di documentazione sui pazienti dei manicomi e degli ospedali, nei quali la considerazione di ineccepibile verità e documento inoppugnabile, costituito dalla fotografia, conclude la ricerca scientifica dal punto di vista del medico e dello psichiatra in cerca di pazienti. La mostruosità divenuta malattia e documento nella deformazione del corpo del malato o del corpo morto di un pregiudicato, ne fa un elemento statico e discriminatorio nei confronti di chi nel momento dello scatto aveva un aspetto diverso, un elemento rassicurante, borghese elettivo. La fatuità del momento è la riappropriazione dell’equilibrio borghese del sapiente, che ambisce alla certezza del proprio status sociale. Arnheim ci avverte nel non prendere un punto di vista troppo esclusivo nella fotografia[3]; un punto di vista particolare lo prende la visione pornografica del corpo, non casuale, immaginaria e creativa, con una tradizione pittorica notevole alle spalle. Schiava delle precedenti versioni figurative, si avvale nei primi tempi della versione mitologica per poi andare verso un’approccio più aggiornato e privo di versioni mitiche. Uno dei primi fotografi di nudi , il barone Wilhelm von Gloeden, nasce a Wismar e nel 1856 si reca in Italia, si occupa inizialmente di vedute pastorali secondo il gusto della fine dell’Ottocento, seguendo i temi idillici del mito della Grecia antica. In Italia arriva per aver contratto la tubercolosi e si reca in Sicilia a Taormina dove apre uno studio fotografico. I suoi modelli, giovani siciliani, ripercorrono nelle sue foto, un’ideale di bellezza mediterranea, che lascia intravedere le preferenze sessuali del fotografo[4].
Wilhelm Van Gloeden, Terra del fuoco, 340 x 400 mm ; stampa ai sali d’argento
La riuscita della composizione fotografica in questo genere è dato dall’enfatizzazione della posa? Dal Modernismo alla democratizzazione della diffusione dell’immagine, la pornografia si pone come mezzo ulteriore per la diffusione di una immagine in visibilità totale. La figura maschile è spesso assente nella pornografia, a favore di quella femminile. La presenza del nudo è comunque vista anche sotto altre vesti. E’ di quegli anni intorno al 1880, la nascita del concetto di “cultura fisica” vista come esercizio ginnico del corpo in movimento, una visione salutista della gestione del corpo. Fu Desbonnet che utilizzò la fotografia del corpo “prima e dopo “come pubblicità dell’esercizio ginnico eseguito nelle palestre con una serie di fotografie dove alcuni energumeni nudi venivano esposti come trofei seguendo regole estetiche di tipo classico, ispirato alla statuaria antica. Del nudo soprattutto femminile, fece un gran uso il movimento Pittorialista in fotografia che si avvalse di velature e chiaroscuri, con forti ritocchi nelle immagini, al fine di avvicinare l’immagine fotografata a quella dipinta, con accorgimenti che imitavano la bellezza del tocco del pennello. Di questo avviso sono alcune fotografe come Alice Boughton con la sua fotografia intitolata Nudi di ragazze è alla ricerca dell’effetto sfumato e di un virtuosismo compositivo che lasciapercepire sensualità e armonia lineare[5].In questo caso la figura femminile diviene nel Pittorialismo un elemento centrale di sensualità e di passaggio di sguardi e gesti, un elemento che unisce le qualità estetiche del corpo femminile a quelle dell’assoluta autonomia dell’immagine fotografica.                      

                                                    
                                                 Alice Boughton, Nudi di ragazze, 1909                                     
Si arriverà nella fotografia al femminile a descrivere il proprio corpo come Anne Brigman (1869-1959), una libera pensatrice, che esegue alcune foto con se stessa come soggetto in una serie di fotografie tra il 1903 e il 1913, all’interno di paesaggi naturali esuberanti e selvaggi, coniugando il ritorno alla natura con l’estetica del corpo umano, facendo eco a quei movimenti che ebbero grande successo nel mondo anglosassone, di nudisti e naturisti che iniziavano in quegli anni il loro percorso politico[6]. E’ negli anni intorno al 1880 che la disputa fra fotografia e incisione si fa più stringente. Il rapporto con l’arte grafica con la fotografia è ravvisabile fin dall’inizio, la derivazione dalla stampa è innegabile, il procedimento dello sviluppo fotografico è un passo in avanti rispetto alla stampa grafica. Dalle rivendicazioni a partecipare alla vita artistica dei fotografi, nasce la Society of Painters and Etchers, fondata da James A. McNeil Whistler e da Francis S. Hayden. E’ in questo ambiente che le fotografie artistiche e il nudo prendono le misure per le loro performances successive. Il mondo dell’arte si era aperto alla nuova tecnica con le sue innumerevoli possibilità. Una nuova vertigine nelle scoperte sulle possibilità tecniche della fotografia che sfociò nella creazione della società mista fra incisori e fotografi, che doveva dare luogo alla nuova consapevolezza nell’arte di un’immagine che non necessariamente era dovuto al segno o al gesto, ma dal solo elemento della luce, catturato e sviluppato su superfici sensibili. Dunque l’interesse si spostava dalla manualità del lavoro a quella della documentazione, della sua unicità. E’ in questo frangente che la fotografia riprende un senso a sua volta, una consapevolezza, una dedica di attenzione alla sua presenza reale nella scena artistica
Anne Brigman, The Cricket’s Song, 1908
Come nei modelli che avevano acquisito una nuova consapevolezza del Sé, anche la tecnica trova un posto nelle categorie artistiche e si riconosce in quel posto nella comunità artistica che le era stato precedentemente negato[7]. Non si può negare che la sua presenza nell’arte successiva fu di grande importanza, tale da spostare anche alcuni parametri estetici e da rappresentare il fulcro della sperimentazione artistica, una sorta di mezzo di verifica per nuove frontiere delle immagini. E’ infatti nella sperimentazione di Degas che troviamo la conferma della direzione intrapresa dalla tecnica fotografica a cavallo fra Ottocento e Novecento. Dopo gli esperimenti dell’artista sulle fotografie in sequenza della danzatrice che balla e del cavallo in corsa, il suo modo di dipingere non fu più lo stesso. Dalla prima grande esposizione del 1891 del Camera Club di Vienna nasce la ricerca del “Gruppo di New York”, formato da Alfred Stieglitz, Steichen, John Bullock, Gertrude Kaesebier, Clarence White, che aveva fatto dell’attenzione alla forma ed alla sua autonomia una propria specifica caratteristica, introducendo le ricerche per un percorso del tutto autonomo della fotografia non più sovrapponibile a quello a quello della pittura[8]. Nella pittura si andava tuttavia formando una progressiva distanza dalla forma con esperimenti come il Cubismo e le Avanguardie e dava in questo senso una continuità alla sua esistenza come interpretazione estrema della realtà. La fotografia tuttavia si avviava a percorrere la stessa strada delle Avanguardie, traducendo la sua vitale possibilità di cambiare l’inquadratura, la luce e la posizione successiva di un oggetto, in una progressiva frammentazione della centralità dell’ immagine, con inquadrature deformate e asimmetrie prospettiche, evitando progressivamente l’armonia estetica della composizione, alla ricerca di nuovi equilibri armonici, fatti in qualche caso di conflitti fra forme, sentimenti e idee. Negli Stati Uniti abbiamo la maggiore rivoluzione nella trasmissione della forma fotografata, una libera coscienza che si dedica alla rappresentazione di nuove ideologie quali il Femminismo, in una cultura liberale diffusa che vede anche una grande libertà nei costumi e nell’uso del corpo. La “Photo Secession” animata da Stieglitz in America è fra i movimenti più vivaci dove la fotografia ha il suo ruolo di primo piano, di unione fra il “prima” e il “dopo” di una consapevolezza delle proprie possibilità espressive che solo in quell’ambiente libero da legami culturali ancestrali quali erano presenti in Europa,  potevano attuare, sperimentare e valutare nuove tendenze della forma e dell’immagine. Con il “Gruppo di New York” si aprirono nuove strade alla figuratività artistica ed all’immagine fotografica. Concorse al rinnovamento anche una nuova tecnologia che fornì apparecchi fotografici, più piccoli e portatili che consentivano avventure visive di nuova concezione. La forma diviene a fuoco, perfetta il contrario del Pittorialismo precedente, alla ricerca di una iper – realtà tecnicamente ineccepibile. A questo tipo di approccio all’immagine viene collegato il movimento Modernista, che in pittura vede i suoi primi rappresentanti nel 1910-13 sulla scia dei Cubisti come Braque e Picasso, alla ricerca di quella scomposizione dell’immagine spazio-temporale della quale risentiranno anche i Futuristi.
                           
                                             Alfred Stieglitz, The Steerage, 1907, Photograveur
L’esposizione dal titolo “Armory Show” del 1913 porta negli Stati Uniti le novità dell’Europa e Stieglitz in contemporanea nella Galleria 291 di New York espone le sue fotografie fra le quali “The Steerage” che mostra la disgregazione di una folla che si imbarca sul ponte di una nave, evidenziando il punto di vista del passeggero di prima classe rispetto alla massa delle classi inferiori. Una fotografia dunque che documenta che spoglia di ogni estetismo l’immagine, riportando brutalmente alla realtà. Uno sguardo sociale in evidenza si identifica in tutte le fotografie esposte il 1913 alla Galleria di Stieglitz, che concorre a denunciare la povertà della classe operaia americana[9]. Nel 1914 Stieglitz pubblica un resoconto dell’attività della Galleria 291 intitolata “What’s in 291?” dove concentrò l’essenza esperienziale della ricerca formale condotta negli anni di attività, rivelando alcuni principi fondamentali quali la mancanza di precetti e la totale libertà di azione cui aveva cercato di condurre gli artisti che promuoveva[10]. Nel 1917 Stieglitz chiuderà la galleria e la rivista Camera work, ma ormai aveva gettato una sfida che fu presto raccolta da Francis Picabia che proprio quell’anno fondò a Barcellona “The Magazine 391” ispirandosi all’esperienza newyorchese. Successivamente poi Stieglitz dovette altre sfide legate al corpo e all’immagine; una serie di ritratti particolari di Giorgia O’Keef che prediligeva le inquadrature con frammenti di corpi, porzioni di nudo che venivano così “spersonalizzati” e recepiti come linee compositive pure. Tornando alla gestione del “Sé”, la donna o l’uomo persero la loro identità nell’immagine fotografica; erano corpi, linee, ombre di qualcosa che a volte poteva essere ricostruito, attraverso i suggerimenti delle parti di corpo identificabili, ma altre volte risultava una porzione asimmetrica non identificabile. La stessa O’Keef si prestò come modella, “tagliando” il proprio corpo in composizioni inaspettate e in porzioni di vuoti e pieni totalmente irriconoscibili. Edward Weston (1886-1958) conobbe Stieglitz nel 1921 e insieme si avventurarono alla ricerca di forme inedite dei corpi nudi ancora da scoprire. Un’attività che avrebbe portato all’Astrattismo e alla gestione della fotografia come tecnica artistica “pura”. Weston visse fino al 1958 e la sua ricerca sulla forma dei corpi si rivolse anche a tutto ciò che suggeriva corpi umani, radici, bulbi, in un percorso che affrontò una visione gerarchica dei corpi nella veduta fotografica, cercando di abbatterla con la sperimentazione visiva[11].
                                
Edward Weston, Nude, Metropolitan Museum of art, Illinois, 1958
                                 
     


Bibliografia

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[1] Heinz Kohut,The search of the Self ,Selected Writings of Heinz Kohut 1950-1978, New York, 1979; Carl Gustav Jung, Energetica psichica, Torino, 1980
[2] G.B., Duchenne (de Boulogne), Mechanisme de la phisionomie humaine,Paris, 1862
[3] Vedi Rudolf Arnheim, Simboli artistici: freudiani ed altri,in, Verso una psicologia dell’arte,Torino,1969,pp.263
[4] vedi  Diego Mormorio, La lunga vacanza del barone von Gloeden, Roma, 2002, e, Mario Bolognari, I ragazzi di von Gloeden. Poetiche omosessuali e rappresentazioni dell’erotismo siciliano tra Ottocento e Novecento, Reggio Calabria, 2013
[5] vedi A. Rouillè e B. Marbot, Le Corps et son image; photographies du XIX siécle, Paris, 1986
[6] vedi Carol Glauber, Songs of a pagan:a study of Anne Brigman’s Poetry,in, Photo Review, Spring, 2000
[7] vedi Aaron Scharf, Arte e fotografia, Torino, 1979; pag. 19
[8] vedi American Pictorial Photography; : seriesI (1899) e Series II (1901);  e Mary Fanton Roberts [Giles Edgerton], Photography as an emotional art: A study of the work of Gertrude Kaesebier, in Craftsman 12, (April 1907), p. 88
[9] vedi, Jay Bochner, An American Lens: Scenes from Alfred Stieglitz’s New York Secession, Cambridge, 2005, e Weston Naef, The collection of Alfred Stieglitz – Fifty Pioneers of Modern Photography, New York, 1978
[10] vedi, Katherine Hoffman, Alfred Stiegelitz : a legacy of light, London, 2011
[11] vedi, Paolo Costantini, Edward Weston, Firenze, 1990, e , Tina Modotti, Vita arte e rivoluzione: lettere a Edward Weston,1922-1931, Milano 1994